PADOVA—«Dimenticatevi di me».
È solo questo che vuole? «Sì. Così un giorno potrò tornare davvero libero».
Padova. Prato della Valle. Seduto sul marmo, Giuseppe Salvatore Riina si toglie gli occhiali da sole, quasi a voler dare più peso alle parole. Il figlio di Totò Riina, il «Capo dei Capi» di Cosa Nostra, per anni l’uomo più potente della Mafia siciliana, vorrebbe solo dissolversi nell’anonimato. E invece, inevitabilmente, si ritrova i riflettori puntati addosso, soprattutto da quando ha lasciato il carcere e si è trasferito nella città del Santo. Vive in regime di sorveglianza speciale dopo aver scontato una condanna a otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa.
Non le manca la Sicilia?
«È la mia terra, certo che mi manca. Lì c’è la mia famiglia, gli amici. E c’è il mare, che per uno che è nato in un’isola è qualcosa di speciale. Ci vorrei tornare, un giorno, se ci saranno le condizioni. Certo, non adesso: ora sto bene a Padova ».
Perché ha voluto venire a vivere qui?
«Voglio ricostruirmi una vita, se non fosse stato questo il mio scopo me ne sarei rimasto al mio paese. Ma in Sicilia non ci sono opportunità. Di lavoro, intendo. E poi lì non è facile per la mia famiglia: non lasciano mai tranquillo un Riina. Per questo ho cercato un posto per ricominciare. Mia madre era d’accordo: anche se le manco ha capito che qui per me ci sono maggiori possibilità ».
A Padova come si trova?
«Sto bene, è una bella città, è grande. I padovani mi hanno accolto bene: a loro non interessa se sono il figlio di Totò Riina. Ogni tanto qualcuno mi riconosce e mi saluta, sempre con cordialità e rispetto. Per il resto mi comporto bene, senza mai violare le regole».
Quali sono queste regole?
«Non posso allontanarmi dal comune né frequentare pregiudicati. Posso uscire di casa solo dopo le 7 del mattino e devo rincasare non più tardi delle 20. Praticamente tutte le sere le forze dell’ordine vengono a controllare se sono in casa e devo firmare in questura tre volte la settimana ».
Dicono di averla vista alle feste e mentre scorrazzava con un’auto di lusso. Avrebbe addirittura noleggiato una Maserati…
«Sono solo balle: anche volendo non potrei farlo, visto che polizia e finanza mi controllano costantemente». (Si ferma, di nuovo leva gli occhiali scuri e apre il borsello che porta a tracolla. Dal portafoglio estrae l’abbonamento dell’autobus e lo sventola per aria) «Mi muovo con i mezzi pubblici: il regime di sorveglianza prevede la revoca della patente di guida, nessuno mi affitterebbe una vettura. E da quando sono a Padova, mi sono spostato un’unica volta, autorizzato dal giudice, per andare a Palermo in occasione di un’udienza in tribunale. Perfino il Natale l’ho trascorso lontano dalla mia famiglia, in casa con la mia fidanzata. Non faccio la bella vita…».
Ma lei è un Riina. Sarà un uomo ricco…
«Non sono ricco. Vivo da solo in un modesto appartamento, e tutti i mesi pago l’affitto ».
Però adesso indossa scarpe Richmond, una giacca Trussardi. Sono abiti costosi…
«Un uomo deve vestirsi bene, con dignità. Come tutti i ragazzi della mia età mi piacciono i bei vestiti e li pago di tasca mia, con quello che guadagno lavorando onestamente ».
Che lavoro fa?
«Sono ancora nella comunità “Famiglie contro l’emarginazione e la droga”. Mi occupo di segreteria e poi, una volta al mese, distribuisco i viveri alle persone indigenti. Fino allo scorso anno ero anche iscritto all’università, ma ora ho lasciato: non riuscivo a lavorare rimanendo al passo con gli esami. A me va bene così: non sono venuto a Padova per laurearmi, il mio unico obiettivo è costruirmi una nuova vita».
La sorveglianza speciale scadrà a fine anno, poi per lo Stato sarà un uomo libero. Rimarrà a vivere qui?
«Non programmo mai a lungo termine. Vivo il presente. Oggi sono a Padova e così sarà anche per i prossimi mesi. Poi si vedrà».
La Lega Nord vorrebbe che lei se ne andasse…
«La Lega non la considero neppure un partito: dice di voler dividere il Nord dal Sud, ma la verità è che esiste solo l’Italia. Non c’è la Padania come non c’è la “Terronia”… A Padova fecero dei banchetti per cacciarmi: non riuscirono a raccogliere neppure mille firme. Detto questo, in 36 anni mi sono abituato a destare clamore, ma quando uno mi conosce capisce che non sono pericoloso. Io sono una persona onesta, sempre».
Però è stato in galera…
«Ma l’onestà con la galera non c’entra niente. In galera ci puoi finire per tanti motivi… Non dico di essere colpevole o innocente, basti sapere che mi hanno condannato e ho scontato il carcere fino all’ultimo».
Anche il sindaco di Corleone dice che non è più il benvenuto…
«La politica purtroppo, invece di fare il bene dei cittadini, fa campagna elettorale. Se rappresenti lo Stato, dovresti almeno fidarti del fatto che lo Stato sia in grado di vigilare sulle persone sottoposte a sorveglianza speciale…».
Cos’è per lei lo Stato?
«Credo nello Stato italiano. Poi, posso non condividere alcune delle leggi, ma l’importante è che le rispetto. Non mi riconosco invece in alcun partito politico e quindi non voto ».
Non le è mai pesato il cognome che porta?
«Non ho mai avvertito il mio cognome come un peso, anche se a volte, quando mi sento tutti gli occhi puntati addosso, mi chiedo se potrò mai avere una vita normale… Ma voglio che sia chiaro: per me è un orgoglio chiamarmi Riina. È un cognome che mi è stato dato da due genitori capaci di insegnarmi tante cose: i valori, la morale. Io sono onorato di essere figlio di Totò Riina e Antonietta Bagarella».
Suo padre è in carcere duro da vent’anni. Le manca?
«Non lo vedo da undici anni, certo che mi manca. In famiglia sappiamo benissimo che mio padre non uscirà mai vivo dal carcere e dal 41 bis. Uscirà “con i piedi in avanti”, perché purtroppo in Italia funziona così: tutto ciò che di brutto è accaduto va fatto pagare a Totò Riina, solo perché lui non sarà mai un pentito. Ma le sue condizioni di salute sono serie, e uno Stato democratico dovrebbe prendersi cura dei propri detenuti. Non lo fa. Eppure mio padre si sta facendo il carcere con dignità, nonostante la malattia. Vorrei solo che venisse curato adeguatamente ».
Non ha mai pensato che, se solo si fosse pentito, forse suo padre avrebbe potuto starle vicino?
«Ognuno ha la sua storia, a un certo punto nella vita si incontra un bivio e si sceglie la propria strada. Lui l’ha scelta e ha deciso di percorrerla fino alla fine, dal primo giorno fino alla morte, senza facili vie di scampo. Questo è un Stato che permette a delle persone di comportarsi da criminali per anni e poi, quando le arresta, basta che si dichiarino pentiti e possono uscire di galera. È un’assurdità».
Ha mai letto i libri di Roberto Saviano?
«Chi è? (Ride) No, non ho mai letto Gomorra, certi libri non mi interessano. Ho visto il film quando è stato trasmesso in tv, perché quella sera non davano nulla di meglio. Secondo me racconta ciò che fa comodo raccontare, e la realtà che descrive non è quella vera. Magari Saviano è a conoscenza di fatti che ignoro, è possibile. Ma a molti di quei fatti io non credo».
Ultima domanda: cos’è, per lei, la Mafia?
«No, a questa non rispondo. Sarebbe inutile: qualunque cosa dica verrebbe strumentalizzata ».
Articolo di Andrea Priante per il Corriere del Veneto


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