Può un avvocato che è stato “consigliori” dei boss, che è stato condannato e ha scontato la pena e ha persino ottenuto la riabilitazione dall’Ordine professionale, ottenere l’iscrizione nell’albo professionale?  E’ questa la domanda cui cercano di dare risposta i magistrati di Locri in provincia di Reggio Calabria i quali hanno avviato uin’indagine sull’iscrizione all’albo degli avvocati di quella città di Memi Salvo, il penalista palermitano che è stato a suo tempo condannato per essere stato il consigliori dei  Graviano, boss di Brancaccio e mandanti dell’omicidio di don Pino Puglisi. Ma andando sbirciare in rete c’è questo interessantissimo articolo di Alessandra Ziniti che dociumenta come  sia già avvenuta, per presunti motivi accidentali, l’iscrizione dell’avvocato a Palermo:

 

La lettera è stata recapitata qualche giorno fa a tutti gli avvocati del Foro. Oggetto: Errata corrige Albo 2003. «Visto che nell´albo già stampato e distribuito sono stati riscontrati lacune ed errori, con la presente si provvede alla relativa integrazione e correzione».
Una comunicazione di routine se non fosse che tra gli iscritti tornano a figurare i nomi di quattro toghe condannate per mafia o sottoposte a misure di prevenzione. Ecco i loro nomi: Cinzia Lipari, Memi Salvo, Filiberto Scalone e Santi Mocciaro. Tutti sospesi dall´esercizio della professione dopo essere stati coinvolti in diverse inchieste giudiziarie che li vedevano indagati e poi imputati per mafia. Uno di loro, Memi Salvo, ha addirittura già finito di scontare la sua pena ormai definitiva, altri due sono condannati in primo grado, l´ultimo, assolto in appello, ha a suo carico misure di prevenzione. Fedine penali difficilmente compatibili con il requisito di «specchiata moralità» previsto dalla legge istitutiva dell´Ordine degli avvocati. E così tra i penalisti palermitani, tra brusii e mormorii, sono cominciati a venir fuori imbarazzi e mal di pancia più o meno chiaramente espressi.
«I quattro avvocati – chiarisce il consigliere dell´Ordine Ninni Reina – restano sospesi a tutti gli effetti, non possono patrocinare in alcuna aula di tribunale, ma l´iscrizione all´albo resta un loro diritto in assenza di un provvedimento di radiazione. Potrebbero anche risolvere le loro pendenze nell´anno scorso e trovarsi nell´impossibilità di esercitare la professione».
Ma sono in tanti, nei corridoi di Palazzo di giustizia, a fare notare che i nomi dei quattro avvocati inquisiti non figuravano negli albi professionali del 2002 e del 2003 e che dunque la decisione di reinserirli ha comunque un «significato». Che tra i penalisti palermitani figurino «colleghi» accusati e condannati proprio per aver travalicato i confini della deontologia e per aver abusato della professione per favorire esponenti di Cosa nostra, sembra una pericolosa marcia indietro proprio mentre il procuratore Grasso, all´apertura dell´anno giudiziario, punta l´indice contro la borghesia mafiosa e la zona grigia della società palermitana. L´indicazione dell´albo 2004 – sottolineano alcuni – è comunque scorretta, perché accanto ai loro nomi non risulta in alcun modo segnalata la sospensione dall´esercizio della professione e i clienti, consultando l´albo, possono dunque essere tratti in inganno.
E che fine ha fatto poi, si chiede qualche altro, il procedimento disciplinare aperto dall´Ordine al momento dell´arresto di Memi Salvo? La condanna è ormai definitiva, la pena scontata, ma del giudizio deontologico dell´Ordine, che potrebbe anche concludersi con una radiazione, si è persa traccia. Mentre nell´ambiente c´è chi dice che Salvo avrebbe già cominciato a muoversi alla ricerca di clienti da assistere magari solo in studio o in Cassazione in attesa di chiedere la riabilitazione. Una situazione imbarazzante per un penalista condannato proprio per un reato, quello di mafia, commesso travalicando l´esercizio delle sue funzioni. E non erano solamente bigliettini dal carcere quelli che portava Memi Salvo per conto dei fratelli Graviano. Chiamato in causa da un suo ex amico nonché consulente della Procura, finito nei guai e diventato collaboratore di giustizia, l´avvocato Salvo sarebbe stato anche disponibile a curare gli interessi economici dei boss di Brancaccio e dei loro familiari. Così almeno hanno ritenuto i giudici di tutti e tre i gradi di giudizio che lo hanno condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere, pena già scontata.
Stessa pena inflitta in primo grado a Cinzia Lipari, figlia dell´aspirante pentito Pino Lipari, mente economica e fidatissimo braccio destro di Bernardo Provenzano, che non ha mai convinto i magistrati della Procura di Palermo della genuinità della sua intenzione di collaborare. Anche lei portava dentro e fuori dal carcere messaggi per conto del padre. Era un giovane avvocato in carriera quando finì in manette con tutta la famiglia. «Non ho mai chiesto, capivo ed eseguivo. Ho avuto una rigida educazione cattolica, mi hanno insegnato a rispettare il comandamento: onora il padre e la madre», si giustificò davanti al sostituto procuratore Michele Prestipino.
Per Filiberto Scalone, ex senatore di An, beccatosi dieci anni in primo grado per essere stato a disposizione dei boss di Brancaccio, il giudizio di secondo grado è atteso per il prossimo nove febbraio. Situazione diversa quella di Santino Mocciaro, latitante a Santo Domingo per anni dopo che la Procura di Caltanissetta, per un procedimento poi concluso con un´assoluzione in appello, ne aveva chiesto l´arresto. Nei mesi scorsi Mocciaro è tornato in città, ma la polizia non riesce a notificargli una misura di prevezione.

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