Un sistema che così non funziona, che rischia di diventare un clamoroso boomerang per lo Stato. E di fare una grande cortesia alla mafia, anzi alle mafie. Il tema è quello dei beni tolti alle mafie nel nostro paese e amministrati dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati diretta dal prefetto Giuseppe Caruso. parliamo di beni immobili, ovviamente, ma anche di società, aziende cui fanno capo patrimoni enormi e da cui dipendono migliaia di lavoratori. Il conto è stati fatto tante volte ma questa volta viene raccontato in un volume (pregevole se non altro perché copre una falla nella vasta letteratura specialistica e divulgativa sui temi di cosa nostra) scritto a quattro mani da una Alessandra Coppola, giornalista del Corriere della Sera, e da Ilaria Ramoni, milanese, è avvocato e amministratore giudiziario, esperta in legislazione antimafia: il libro presente sugli scaffali dal 13 settembre si intitola “Per il nostro bene” ed è edito da Chiarelettere (pagine 176 euro 12,90).



Certo non va sottovalutata la responsabilità delle banche ma non è nemmeno possibile non dire che l’Agenzia nata con tutte le buone intenzioni appare con un presidio senza esercito, con poco personale e un livello di specializzazione insufficiente considerato che per gestire i beni sono necessarie competenze specifiche ma soprattutto una celerità che i scarsi mezzi forse non assicurano. La situazione è questa, secondo i dati contenuti nel libro: «Dei 3.995 beni immobili ancora in gestione all’Agenzia, 2.819 presentano criticità e di questi 1.666 sono gravati da ipoteche (per 76 addirittura sono in atto i pignoramenti). Più di uno su tre: di fatto, inutilizzabili». E poi: «Su 1.7089 imprese confiscate, solo 60 risultano pienamente attive sul mercato, con dei dipendenti che effettivamente ogni giorno si presentano in ufficio o in fabbrica». Tanto che, dicono le autrici, «c’è il pericolo di una clamorosa sconfitta collettiva». Questo volume dà un quadro di insieme delle cose e dei fatti, affronta alcune questioni, prova a spiegare con un linguaggio non tecnico i termini della questione: «E’ un reportage dal fronte, tra le fortezze espugnate a quella mafia che ha fatto la storia, e che ancora soffoca il Paese. La villa di Tano Badalamenti a Cinisi, la reggia di “Sandokan” Schiavone a Casal di Principe, l’enclave dei Casamonica nella periferia romana, perfino una residenza principesca a Beverly Hills, proprietà di Michele Zaza, ’o Pazzo, re del contrabbando. E poi cascine di ’ndrangheta in Piemonte, tenute in Toscana, castelli, alberghi, discoteche, campi di calcio, maneggi. Trincee di ieri e di oggi. Un patrimonio che vale una Finanziaria». Ma intanto in tante parti del paese scuole e uffici pubblici pagano l’affitto mentre migliaia di immobili restano abbandonati. Gli ostacoli sono di ogni tipo: terreni occupati, edifici distrutti, una legislazione carente, amministratori pavidi, funzionari di banca che concedono mutui ai clan per aiutarli a “salvare” il patrimonio.
 


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