La condanna di Saguto e Seminara e la fiducia dei giusti fatta a brandelli

Una sentenza di primo grado non è una sentenza definitiva. Ma è pur sempre una sentenza e mette un punto fermo su una vicenda giudiziaria. E la sentenza di oggi che condanna l’ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo Silvana Saguto a otto anni e sei mesi di carcere e l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara a 7 anni e 6 mesi di carcere è una di quelle che non può passare inosservate. Almeno per me. Perché sono stato tra coloro che hanno dato sia all’una che all’altro fiducia: alla prima per quello che a quel tempo mi sembrava un sano impegno contro la mafia e gli affari di Cosa nostra; al secondo perché pensavo che il suo metodo, riscontrabile nelle carte e in vicende processuali, di scavare a fondo nei bilanci delle società che amministrava fosse una strada vincente che seguiva modelli moderni di lotta alla mafia. Un metodo che io ho avuto l’ardire (forse peccando di ingenuità) di fare il paragone con il metodo utilizzato da Ambrosoli per i conti di Sindona.

Non posso non ammettere, per onestà intellettuale, che la condanna di Cappellano Seminara mi suscita non poco imbarazzo anche se, ma col senno di poi è facile dirlo, il paragone non era tra la dirittura morale dell’uno (Seminara) e quella dell’altro (Ambrosoli). Non mi occupo di morale come usano fare certi moralisti a giorni alterni che popolano le pagine dei giornali. Ma non è di questo che stiamo parlando anche se ci sarebbe molto da discutere: Seminara è stato condannato a Caltanissetta e si vedrà più avanti in secondo grado quale sarà il giudizio definitivo (al netto di possibili ricorsi in Cassazione ma non possiamo certo leggere nella palla di vetro cosa accadrà). Ma Cappellano Seminara è stato teste chiave a Roma in un processo contro i sodali di Massimo Ciancimino nella vicenda del riciclaggio del denaro di Don Vito nella discarica rumena: sodali di Ciancimino che sono stati condannati.

L’intera vicenda del processo scaturito dalle indagini sulla gestione dei beni sequestrati alla mafia certamente non può che far riflettere chi, come me, si è occupato di queste vicende. E fa riflettere soprattutto per la fiducia che i giusti hanno riposto in quel cambiamento, in quella battaglia per una economia sana e pulita che sembrava essere all’orizzonte. E la preoccupazione oggi è che tutto sia rimesso in discussione e che dunque venga buttato il bambino con l’acqua sporca, come si suol dire. Voglio ancora, qui, ribadire la presunzione di innocenza che vale per loro e per chiunque altro a dispetto dei forcaioli di tutte le parti politiche e fazioni varie.

Riporto, come è giusto che sia, anche il parere dell’avvocato di Silvana Saguto, Giuseppe Reina: “Rispettiamo la decisione del tribunale che è arrivata dopo un lungo dibattimento. In prima battuta e aspettando di leggere bene il dispositivo, noto però che in questo processo per la dottoressa Saguto sono più le assoluzioni che le condanne e che è caduta l’accusa di associazione a delinquere”.  “L’unica cosa che mi sento di dire, alla luce delle assoluzioni per diverse contestazioni, – ha aggiunto Reina – è che il quadro indiziario si è fortemente ridimensionato. La trasmissione degli atti per falsa testimonianza per il teste che aveva parlato di una consegna di denaro a casa Saguto ci fa pensare che sia caduta anche questa accusa, dunque che per il tribunale questo episodio non è avvenuto”. “In attesa di leggere le motivazioni – ha concluso – posso dire che siamo soddisfatti”. Certo è è caduta l’associazione a delinquere e anche un’ipotesi di corruzione per una presunta mazzetta da 20 mila euro. ma è pur sempre una magra consolazione.


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