di Rino Giacalone
Un mafioso trapanese intercettato decenni addietro venne ascoltato dagli investigatori mentre spiegava ai suoi accoliti la strategia della «famiglia» in un modo semplice, «un fare e un fare fari» diceva (non fare e non lasciar fare), che era comunque anche questo un modo per imporre il potere dei «mammasantissima». Oggi la mafia trapanese invece ha scoperto la possibilità di potere fare, e tanto, accedendo alla contribuzione pubblica, gestendo i progetti finanziati con le 488, controllando le imprese, diventando essa stessa impresa, anche di natura commerciale se si pensa al maxi sequestro dei Despar in mano all’imprenditore di Castelvetrano Pino Grigoli, 60 anni, e al suo «socio» latitante, Matteo Messina Denaro, 46, ricercato da 16 anni. Domani a Marsala nei confronti di loro due si apre il processo, nelle stesse ore a Trapani dinanzi al Tribunale delle Misure di Prevenzione è fissato l’avvio dell’udienza nei confronti del solo Grigoli per il quale è stata chiesta sorveglianza speciale e la confisca di un ingente patrimonio, valore 700 milioni di euro. Comprese le quote di un maxi centro commerciale a Castelvetrano.Nel processo che comincerà domani, a Marsala, contro Grigoli e Messina Denaro, c’è scritta la storia più recente di Cosa Nostra trapanese, raccontata con i soldi, le imprese, i grandi appalti e i grandi affari del commercio che dimostrano «come il fenomeno mafioso in provincia di Trapani continua a fare da sistema catalizzante». Così scrivono i magistrati della Procura antimafia nei loro atti più recenti, quelli che parlano di Matteo Messina Denaro e con lui della cosiddetta «area grigia» della mafia trapanese, dove ci stanno colletti bianchi, professionisti e imprenditori: Grigoli per certi versi era no di questi fino a quando nel dicembre del 2007 non è stato arrestato dalla Squadra Mobile poi in due tranche successive ha subito il sequestro dei beni.
Mafia e la sfera degli affari del settore del commercio e della grande distribuzione, sono gli argomenti del dibattimento che si apre oggi a Marsala. Per i magistrati Giuseppe Grigoli deteneva le chiavi di una «cassaforte» a disposizione del capo mafia belicino, tutti e due rispondono di associazione mafiosa. I loro «intrecci» vennero traditi anche da alcuni dei «pizzini» trovati nel covo di Corleone di Bernardo Provenzano. Ampio il periodo delle indagini, che va dal 1997 al 2007. È lo stesso arco temporale in cui Cosa Nostra ha mutato aspetto, ha messo da parte le strategie stragiste e omicidiarie, ha posto fine alle faide e alle guerre interne, ed è diventata impresa, una grande impresa.
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