L’Expo 2015 ha già battuto il Ponte sullo Stretto di Messina. E non solo per la portata degli investimenti ma anche per gli appetiti criminali che si sono scatenati intorno alle opere dell’area lombarda. Già perché se consideriamo solo i fondi di cui fin qui si è detto e che riguardano la parte pubblica si arriva a quasi 15 miliardi cioè più del doppio della dotazione del ponte sullo Stretto. Nel calcolo, ovviamente, non sono compresi gli investimenti, immobiliari e non, dell’indotto. Si capisce dunque perché la Lombardia sia diventata terreno di conquista dei clan mafiosi e in particolare delle ’ndrine calabresi. Un elemento ribadito dai magistrati della Direzione nazionale antimafia nella relazione sull’attività svolta nel 2008. Relazione, quella consegnata a Governo e Parlamento dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che analizza in dettaglio il contesto lombardo e milanese in particolare. Perché è certo il distretto di Corte d’appello di Milano entro cui insiste la giurisdizione della direzione distrettuale antimafia, quello che più interessa gli investigatori. Qui, si legge nella relazione che porta la firma di Roberto Pennisi, «la penetrazione delle organizzazioni non si arresta e anzi sembra accentuarsi, favorita da una maggiore predisposizione degli ambienti amministrativi, economici e finanziari ad avvalersi dei rapporti che si instaurano con l’ambiente criminale. Soprattutto nei settori delle opere pubbliche, dell’edilizia, dei mercati e della circolazione del denaro. La Direzione distrettuale di Milano ha accentuato il proprio impegno a contrastare tale tipo di fenomeni criminali iniziando nuove indagini oppure rielaborando indagini esistenti cioè relative a fatti già verificatisi ma non compiutamente investigati. I risultati ottenuti sembrano essere del tutto positivi». A dare man forte a Pennisi, l’analisi fatta da Vincenzo Macrì, magistrato calabrese della direzione nazionale antimafia che da anni si occupa della ’ndrangheta. Macrì conferma quella che è stata ed è la denuncia degli imprenditori del settore dei lavori pubblici i quali continuano a ripetere che la criminalità organizzata si è con anticipo posizionata lì dove arriveranno le grandi opere pubbliche e che ha già acquisito il controllo del settore delle forniture. Sotto questo profilo la relazione di Macrì cita il procedimento nei confronti delle famiglie Barbaro-Papalia di Platì (Reggio Calabria) il cui ordine di custodia cautelare è stato eseguito nel luglio dell’anno scorso. Secondo i magistrati milanesi i «Barbaro-Papalia avrebbero acquisito il controllo dell’attività di movimento terra nella zona ovest dell’hinterland milanese. Il tutto attraverso intimidazioni contro beni di altri imprenditori, incendi di vetture in uso a concorrenti o a pubblici amministratori, minacce a mano armata, imposizione di un sovrapprezzo nei lavori di scavo». Per Macrì non ci sono dubbi: «Un’attività del genere lascia intendere a coloro che conoscono il tipico modo di procedere delle cosche calabresi che è in atto una vera e propria conquista del territorio, al fine di sfruttarne tutte le potenzialità economiche. La circostanza che l’area di Milano ospiterà l’Expo 2015, con il giro di opere pubbliche e dei conseguenti interventi finanziari e investimenti immobiliari che ruotano intorno all’evento, dimostra a sufficienza quali siano gli interessi in gioco, e quali gli appetiti mafiosi che si scateneranno con il corollario di violenza verso i concorrenti esterni, regolamenti interni e quant’altro accompagna di solito tali realizzazioni». Ma su questo fronte nei giorni scorsi si è registrata la “bocciatura” della commissione antimafia del Comune di Milano. Votata dal Consiglio di Palazzo Marino la proposta è stata giudicata incostituzionale dal prefetto Gian Valerio Lombardi, il quale ha sottolineato come la competenza in materia è attribuita in via esclusiva agli organi dello Stato. nino.amadore@ilsole24ore.com[ad#co-11]
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